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A Riesi inaugurato il 'Muro del non silenzio' dove è stata collocata una buca per le lettere anonime

Se ci ribelliamo tutti, nessuno è solo

È tempo di scegliere da che parte stare per Riesi. Da un lato il silenzio e l’omertà, dall’altro la denuncia e lo Stato. E questa volta a chiedere che tante voci possano fare un grande urlo, contro ogni forma di sopruso criminale, Eugenio Di Francesco e quei pochi che gli sono stati accanto da sempre, non sono rimasti soli. Sette anni fa Di Francesco trovò il coraggio di denunciare suo padre, imprenditore sospettato di essere colluso con le cosche locali e responsabile della morte del fratello. Erano anni in cui era impensabile denunciare e la mafia armata spadroneggiava e macchiava di sangue famiglie e città. Basti pensare che a Riesi dal ‘72 al 2012 in città si contarono 100 omicidi. Ma ora il vento sembra cambiare. “Vuole e deve cambiare”, continua Di Francesco. La prova è in un corteo di uomini e donne dello Stato e oltre 500 studenti che hanno sfilato per le vie principali della cittadina nissena, in occasione di una manifestazione organizzata per inaugurare “Il muro della non omertà”. Accanto alla gigantografia con i volti più di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, al centro di Riesi, è stata collocata una buca delle lettere anonime dove depositare messaggi di ingiustizia, minacce, soprusi. Al suo interno, proprio nel giorno della consegna ufficiale della chiave al Prefetto Cosima Di Stani, quindi al comandante della locale stazione dei Carabinieri, qualcuno ha lasciato un biglietto: “Servono pene dure, lasciateli in galera”. Parole che risuonano come un’invocazione allo Stato e alla giustizia perché “i capi dei mandamenti sono in cella – prosegue Eugenio Di Francesco, referente cittadino della Rete per la Legalità – ma tanti sono quelli ai domiciliari. E la loro presenza ha un peso tra i commercianti”. A loro è stata distribuito un adesivo da esporre in negozio “Io non pago”, ma non tutti hanno accettato. “Una buona parte dei negozianti ci ha dato una pacca sulle spalle esortandoci ad andare avanti. Un’altra invece ha paura. Da loro vogliamo cominciare, intendiamo spingerli ad una reazione, ad alzare la testa”. A giocare il ruolo della “parte adulta” della città sono gli studenti che sono scesi in piazza con striscioni e bandiere, rinunciando ad una giornata di sciopero indetto per la mancata attivazione dei termosifoni in istituto, per dire “denunciate perché la mafia uccide, il silenzio di più”. In centinaia, simbolicamente, hanno messo la firma sul “Muro del non silenzio”, impegnandosi in un patto educativo con lo Stato ad essere “liberi”. Sono i figli di una cittadina “piegata dalla presenza ingombrante della criminalità”. Al loro fianco, tra gli altri, Franca Evangelista, commerciante della vicina Gela. Suo marito, il profumiere Gaetano Giordano, fu assassinato per avere negato il pizzo alla cosca locale. “Non ci pensammo due volte – racconta -. Mio marito era un uomo intransigente, non avrebbe mai accettato un compromesso. Così quando vennero a bussare alla porta della nostra attività commerciale chiedendo che ci ‘mettessimo a regola’, non ci pensò due volte. E la sera stessa andammo a raccontare tutto ai carabinieri”. Era il 1992 quando il nome di Giordano fu estratto da un macabro sorteggio. Il clan gelese voleva dare una lezione ai commercianti che osavano ribellarsi. E sparò. “Se ci ribelliamo tutti nessuno è solo”, dice agli studenti in corteo. “I mafiosi non conoscono pietà né umanità, non risparmiano nessuno”, afferma il Prefetto ricordando numerose vittime italiane cadute per mano mafiosa. “La lotta alla mafia è una necessità per la nostra dignità di cittadini perché noi possiamo essere cittadini liberi, senza padroni, né padrini”. 



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