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La rubrica numero I dal titolo

La Vergine nella letteratura, “due movimenti dello stesso respiro”

Inizia un percorso di mariologia poetica in cui metteremo in luce l’interpretazione dei prodotti letterari che, facendo ricorso ad una ermeneutica testuale, portano discorsi utili sulla Vergine Maria e assumeremo la poesia come strumento di indagine conoscitivo, mettendo in luce il rapporto esistente tra la mariologia e la poesia, soprattutto tramite la letteratura del ‘900. 

Come tante volte accade, lo stretto legame che intercorre tra la poesia e la teologia, che fa da chiave ermeneutica al tema specifico della nostra rubrica, è fonte di problemi e fraintendimenti tra i più insidiosi, qualificandosi piuttosto come una ‘zona di confine’ lungo la quale le incursioni risultano inevitabili e rischiose.

La legittimità dell’incontro delle due discipline deve custodire e garantire le ragioni, i codici, i vincoli peculiari della teologia e della poesia facendo scaturire la ricchezza di scambi simbolici. Ci ritroviamo dinanzi ad una affinità divergente che ci permette di comprendere più puntualmente in cosa consista la contiguità e la distinzione tra la poesia e la teologia, affinché il ricorso alle parole della prima possa integrarsi agli enunciati della seconda. 

Le poesie non sono testi teologici e quindi prettamente mariologici ma da esse scaturiscono una marianità impregnata di mariologia che parla della Madre di Gesù anche se il campo non lo richiede e non la necessità. Lo studio parallelo della poesia e della teologia evidenzia come i punti di contatto e le distinzioni tra il discorso teologico e il testo letterario sono molteplici. Entrambi hanno da pensare e dire l’impensabile tra il dicibile e l’ineffabile. Dal momento che pensare e poetare, così come ci suggerisce A. Prete, sono “due movimenti dello stesso respiro”, è su questo terreno, del pensare e del pensare l’infinito, che il poeta e il teologo possono trovarsi fianco a fianco, come compagni dello stesso viaggio.

Il confine, allora, è ciò che è comune e ciò che separa. Quello comune è che si ritrovano ad esprimere tramite il discorso; quello che separa è che mentre la sfida del teologo si gioca sul piano del significato, la dicibilità di chi o ciò che chiamiamo Dio, la sfida del poeta è quella che deve esprimere il vissuto: “Lingua mortal non dice quel ch’io sentiva in seno” (G. Leopardi, A Silvia)

Per concludere, questa introduzione al viaggio che ci porterà a scoprire i punti di contatto e le affinità tra la teologia\mariologia e la letteratura del Novecento, è necessario fare un’ultima precisazione. Nel discorso teologico è l’oggetto (Dio) che, negandosi perennemente come tale e sfuggendo alla presa concettuale, sottopone la significazione alla sua impresa quasi impossibile.

Nel dire del poeta, è il linguaggio a far mostra di sé, a dire di sé, al massimo grado della sua performità, naufragando e trionfando nell’atto stesso del dire del suo limite: “La poesia fa esperienza dell’impossibilità di dire l’infinito, e in questa esperienza c’è l’acquisto di una rinnovata esperienza, di un nuovo sentire” (A. Prete, Meditazioni sul pensiero poetico, Moretti e Vitali, Bergamo 2013, p. 15).



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