La rubrica
Tracce della Vergine del “dire in versi”
È dentro una certa delimitazione, usata come spazio limpido in cui qualcosa di astratto viene espressa attraverso un’immagine concreta, che si compendia la ricerca dell’Altro nella poesia del Novecento.
Per comprendere pienamente i punti divergenti e di unione della poesia e della mariologia, nel secolo scorso, non possiamo tralasciare la questione della secolarizzazione, del secolarismo, del post-secolare conosciuto anche come “ritorno al sacro”.
Innanzitutto sarebbe necessario problematizzare lo stesso termine di “poesia religiosa” allargando i confini di canonicità in cui ha un suo proprio carattere identitario e di conoscibilità.
Nel volume “Poesie di Dio”, Enzo Bianchi propone una definizione chiara e illuminante di poesia religiosa tramite cui ne allarga i confini. L’allora priore di Bose da un lato riconosce il declino della religio, tramite il senso etimologico secondo la tesi lattanziana che vede nella sua radice re-ligare la capacità di unire, cioè legare gli individui dispersi nella deriva della frammentazione e orfani anche di quelle “religioni secolarizzate” che erano le ideologie. Dall’altro, invece, afferma che il Novecento non può essere considerato come un secolo non religioso, ma fortemente religioso. In questo caso vede il XX secolo come un tempo in cui è avvenuto uno stringente “incontro-scontro” con il divino e se questo viene inteso come religioso è ciò che aiuta a procedere in profondità nella nostra ricerca esistenziale. In maniera perentoria, Enzo Bianchi afferma che un testo è veramente religioso quando è veramente poetico.
Ovviamente questa visione annessionistica e inclusiva non possiamo considerarla come assoluta. Infatti, Mario Luzi, uno tra i più grandi poeti del Novecento, cercherà di chiarire la questione della vocazione religiosa della poesia applicando, potremmo dire, l’enunciato iuxta propria principia, di Bernardino Telesio, alla stessa poesia, cioè con argomenti tutti interni alle sue ragioni, difficilmente controvertibili e secondo quella che è la sua natura: distruggere la lettera per rispristinare ed espandere lo Spirito.
Queste considerazioni sono ritenute necessarie per riuscire ad avere una visione meno stereotipata del XX secolo e quindi riuscire a comprendere pienamente le tracce della Vergine Maria nel sostrato più profondo, simbolico e antropologico, del dire in versi.
Per leggere e comprendere la presenza della Madre di Gesù nei passaggi dei nostri poeti dobbiamo vedere in Maria, così come ci suggerisce il grande mariologo monfortano Stefano De Fiores, non l’immagine della femminilità o il modello della donna, ma innanzitutto il modello di ogni credente. Questo ci aiuta a non mitizzare e a non rendere troppo domestica Maria e ridonandola pienamente all’umanesimo personalista, alla storia salvifica e alla fede della comunità ecclesiale.
Spogliandola di tutto il valore simbolico femminile, Maria viene restituita come persona credente, discepola del Signore per il quale, come ci ricorda Paolo nella sua lettera ai Galati, “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna” (Gal 3,28).
È chiaro comunque che, sul piano dell’ipotesi, non si può del tutto tralasciare la simbologia del femminile perché, come vedremo tramite l’analisi testuale nei prossimi articoli, questa ci consentirà di cogliere le tracce di Maria anche nei più impensabili, inospitali e inaspettati luoghi poetici.