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L'INTERVISTA Gesù mi ha scelto e si è innamorato di me. Io ho solo ricambiato questo amore

Mi voglio ispirare a Lui, il Buon Pastore

Enrico Lentini, 25 anni a ottobre, è il più giovane dei quatto seminaristi che saranno ordinati in Cattedrale l’11 agosto prossimo. Figlio di Ettore e Franca, il più piccolo di tre figli Giulia e Valerio, è stato battezzato nella parrocchia san Pietro di Piazza Armerina, ma è cresciuto nella parrocchia Santo Stefano. Si è formato nel seminario di Piazza Armerina, dove come ci dice “sono entrato bambino all’età di 18 anni nel settembre del 2015 e ora ne esco uomo”. Nel settembre del 2020 ha conseguito il baccellierato presso la Facoltà Teologica di Sicilia e attualmente sta frequentando i corsi di Licenza in Liturgia presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma. Nei suoi sogni vedeva la carriera di avvocato, ma vedeva il suo futuro piuttosto confuso. È grato al Signore per il dono che gli fa con l’ordinazione diaconale. Dalla nonna Pina ha appreso la fiducia in Dio e nella sua provvidenza e la devozione a Santa Rita.

Con il diaconato inizia realmente la tua donazione a Dio nel servizio alla Chiesa. Cosa provi alla vigilia dell’ordinazione?
Ciò che provo nella preghiera in questo periodo è principalmente gratitudine, al Signore per questo dono che immeritatamente mi fa. Non so perché il Signore mi abbia scelto, ma dato che la vocazione è sua, Egli saprà come guidarmi ed assistermi nel ministero. Gratitudine anche per coloro che mi hanno aiutato a chiarire il progetto che Dio aveva per me, penso principalmente ai formatori del Seminario. Guardandomi indietro sento che il Signore con me è stato fedele, e ho grande fiducia in Lui per il mio futuro, l’emozione è forte. L’incontro con il Signore, grazie a delle persone incontrate nel suo cammino lo hanno aiutato a fare chiarezza e gli incontri della comunità di accoglienza vocazionale lo hanno aiutato a comprendere la bellezza di camminare nella sequela di Cristo.

Ci descrivi brevemente il tuo cammino personale ed il percorso ecclesiale alla scoperta della vocazione?
Il mio percorso vocazionale è iniziato negli anni del liceo. Dopo la cresima, come tanti coetanei, avevo smesso di frequentare la parrocchia. Al termine della maturità classica avrei dovuto sicuramente intraprendere un percorso universitario e avevo molti sogni, tra cui quello di diventare un avvocato, ma vedevo il mio futuro in modo molto confuso. In quel momento però capii interiormente che solo Dio poteva aiutarmi a fare chiarezza nella mia vita e mi riavvicinai alla fede in maniera intensa. Le persone che il Signore mi ha posto davanti mi hanno aiutato a fare chiarezza nel mio cuore, insegnandomi che la vita era dono di Dio e questo dono così grande meritava di essere ricambiato. Ho avvertito un forte sentimento di gioia e volevo che tutti potessero provare la mia stessa felicità, scaturita dall’incontro con Gesù.

Persone significative per la tua fede e la tua vocazione.
Sono molte le persone attraverso cui il Signore mi ha comunicato la fede e la vocazione. Tra tutte penso innanzitutto alla fede semplice che vedevo in mia nonna Pina, che adesso non c’è più, da lei ho imparato la fiducia in Dio e nella sua provvidenza. Di fronte alle difficoltà che la vita ci pone dinanzi, la preghiera è l’arma migliore con cui lottare ed invocare l’aiuto di Dio. Mia nonna credeva molto in questo, le piaceva pregare chiedendo l’intercessione di Santa Rita, e mi ha trasmesso questa devozione alla Santa degli impossibili. Un’altra persona significativa per la mia vocazione è il mio precedente Parroco p. Nino Rivoli, attuale Vicario Generale, essendo anche mio docente di religione al liceo, è stato lui il primo a cui ho confidato i miei dubbi e domande vocazionali. Egli mi ha guidato, non forzando mai la mia scelta, ma facendo sì che emergesse in me quella che era l’iniziativa di Dio sul mio futuro. Sicuramente la testimonianza data del suo ministero di sacerdote mi ha aiutato più delle parole ad eliminare quella confusione iniziale e a farmi dire il primo “Sì” al Signore.

Gli anni di formazione in Seminario.
Solo quando questi anni terminano ti rendi conto di quanto siano importanti. Il giorno che sono entrato in Seminario ho capito che il bene che il Signore mi voleva era tanto, perché mi aveva fatto dono di una comunità, ma anche di tre padri a nostro servizio, che sono i formatori. Sono stato accolto in Seminario dall’ex rettore don Vincenzo Cultraro, ma anche da don Luca Crapanzano, prima vice-rettore e poi rettore. All’inizio tendevo a tenermi tutto per me, poi ho capito che l’azione formativa poteva attuarsi in me solo affidandomi totalmente ai miei formatori, da loro ho imparato tutto e gli devo molto. La mia gratitudine per il nostro Seminario non si può misurare, se adesso posso guardare indietro al ragazzino che mi sono lasciato alle spalle è grazie ad esso. Vivere in comunità non è affatto semplice, ma oggi penso che sia una delle esperienze più belle che io abbia mai fatto e sono grato al Signore per averlo reso possibile, soprattutto perché stando con gli altri ho imparato molto su di me e sono riuscito a limare molti aspetti del mio carattere.

A quale ideale di Chiesa pensi di dover lavorare in collaborazione con gli altri confratelli e con i laici?
Sogno una Chiesa al passo con i “segni dei tempi”, sogno dei fedeli che abbiano una fede adulta e matura. Spero in una Chiesa più umana, mai distaccata dagli uomini del nostro tempo, nella quale sia facilmente possibile scorgere la presenza del Regno di Dio in mezzo a noi. Vorrei una Chiesa povera nelle sue scelte e nelle sue azioni, radicata nell’unica sua ricchezza: il Vangelo di Gesù Risorto. La povertà non riguarda solo l’aspetto finanziario di una parrocchia, ma ha anche a che fare con il modo in cui si guarda al mondo, al proprio quartiere, e di come ci si pone al suo servizio, in questo senso credo molto in quello che i cristiani possono fare nella loro vita di tutti i giorni, senza bisogno di una evangelizzazione istituzionalizzata. Nella nostra Diocesi c’è tanto potenziale, vorrei che i laici riscoprissero maggiormente l’importanza del loro sacerdozio battesimale e che i presbiteri dessero più esempio di unità e di comunione fraterna.

In genere, quando si pensa al prete si pensa sempre alle privazioni, la moglie, gli affetti, la sessualità, per cui quasi c’è uno sguardo di compassione verso il prete.
Penso ci sia poco da avere compassione nei confronti di un ragazzo che si sente felice. Stare con Gesù significa stare nella gioia, se un prete è triste c’è da farsi qualche domanda. Egli mi ha scelto e si è innamorato di me, io ho soltanto ricambiato questo amore. Per questo motivo, nel mio cuore c’è spazio solo per il Signore. L’amore verso i fratelli è una conseguenza di questa appartenenza a Gesù, credo molto in quello che afferma san Paolo: “Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore” (Rm 14, 8).

Quali pensi debbano essere le virtù fondamentali per essere un buon diacono e poi un buon prete?
La preghiera di ordinazione dei diaconi dice che la vita stessa di un diacono debba essere un costante richiamo al Vangelo. Ecco perché credo sia importante che un buon diacono abbia un carattere docile, che sia accogliente con tutti, in particolare con i poveri. Inoltre, non gli dovrebbero mancare virtù come l’umiltà, la carità, la pazienza, la fedeltà e la voglia di spendersi nel proprio ministero.

C’è una immagine ideale di prete a cui vuoi ispirarti e perché? Come vedi il tuo futuro di presbitero della Chiesa?
Confesso di non avere un particolare modello a cui voglio ispirarmi, spero di aver assimilato il meglio delle figure di sacerdoti che ho incontrato in questi anni, anche imparando dal negativo. Vorrei che il mio cuore potesse battere come quello di Gesù, che provava compassione verso gli altri, in fondo egli è l’unica immagine a cui ispirarsi come Buon Pastore. Spero di essere presbitero ogni giorno con la stessa gioia del primo giorno, in questo ho trovato un modello nel nostro Vescovo, da lui ho imparato l’abnegazione con cui va portato avanti il proprio ministero nella Chiesa.



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