Ancora a proposito di autonomie
Nel numero di Settegiorni di quindici giorni fa, si era trattato del contributo dei cattolici siciliani alla configurazione dell’autonomia siciliana il cui Statuto Regionale è oggi fonte sussidiaria della nostra Costituzione per l’elaborazione di quella politica isolana che ha il compito di valorizzare il territorio e le sue risorse umane e non, per il bene della nostra collettività. Si vuole oggi dare un ulteriore approfondimento a quelle vicende che portarono allo Statuto promulgato il 15 maggio 1946, soffermandosi su un altro nostro illustre conterraneo, legato storicamente alla città di Gela, Salvatore Aldisio (1890 – 1964), sepolto nella Chiesa parrocchiale di San Giacomo nella “sua” Gela. Aldisio fu dal luglio 1944 alto commissario per la Sicilia e protagonista di qualificati interventi a sostegno dell’Isola tra cui l’elaborazione di un piano di lavori pubblici. Fu lui a insediare nel 1945 la Consulta Regionale, primo organo di autogoverno siciliano e sempre nella qualità di alto commissario nominò la Commissione incaricata della stesura dello Statuto. A proposito di autonomia regionale, Aldisio tentò di favorire l’assorbimento della tenace ala separatista della Democrazia Cristiana sicula che aveva fortemente sostenuto l’idea federativa di una “stato” siciliano e di radicare su idee più centriste la stessa DC onde allontanare lo spettro di un popolarismo sociale nello stesso partito cattolico. Non riuscì, comunque, nel tentativo di armonizzazione tra la DC e le sinistre nei lavori per lo Statuto Regionale. Aldisio sosteneva le ragioni dell’autonomismo in linea con il pensiero sturziano. E’ stato scritto che negli anni della Guerra il laboratorio politico del partito cattolico sentiva il bisogno di affrontare il problema siciliano. Si trattava, infatti, “di ricostruire il senso dell’appartenenza al sistema dello Stato unitario riattivando i circuiti di fiducia che la soluzione risorgimentale aveva interrotto, si trattava di riguadagnare i siciliani all’Italia attraverso lo strumento di reale partecipazione che poteva affermarsi con il riconoscimento di principi di autogoverno e di autonomia che andassero al di là del mero decentramento amministrativo. Per la Sicilia si chiedeva dunque uno status particolare che consentisse di colmare quel gap di fiducia soprarichiamato e di rispondere alla specificità della sua cultura e della sua società” (P. Hamel, Chiesa, cattolici e autonomia regionale siciliana: un difficile percorso, in La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, pag. 961). In realtà gli studiosi ci dicono che lo Statuto elaborato dalla Commissione non accolse fino in fondo o comunque in modo realmente permeante il concetto di autonomismo di matrice cattolica che con Luigi Sturzo sentiva di dover offrire un cambiamento di mentalità e di cultura per il quale gli enti locali dovevano essere strumenti e segni di una politica partecipativa e centri propulsori di sviluppo. Secondo Hamel, il testo dello Statuto Regionale elaborato dalla Commissione promossa e sostenuta da Aldisio risentiva ancora fortemente della visione dello stato liberale e difatti superò la visione pura dell’autonomismo di matrice cattolica. Pertanto, Enrico La Loggia (1872-1960), altro storico membro della Consulta, nella seduta del 19 dicembre 1945, poteva dichiarare che “l’autonomia può risolversi in una delusione visto che la Sicilia ha bisogno del resto dell’Italia e l’Italia ha bisogno della Sicilia”. Parole anch’esse significative che ci ricordano come l’autonomia di cui parlava Luigi Sturzo necessita di formazione della classe politica, di formazione al senso delle istituzioni, di maturità sociale per fare uscire dal torpore una nuova vitalità del gusto partecipativo alla vita delle istituzioni locali.