La Divina Commedia nella tradizione islamica: il Dante pakistano
Durate il primo lockdown di inizio pandemia, ho avuto modo di seguire un corso on line di arabo tenuto dal prof. Luca D’Anna per l’Università Orientale di Napoli. Apprendendo la musicalità e la base della lingua araba, ho imparato a riconoscere tra quei suoni i vari significati delle parole e pian piano ad entrare nel mondo della cultura araba molto vicino alla nostra. Ma a cosa ti serve un corso di arabo? A niente, rispondevo io, o meglio a niente di necessario e di determinato e per questo sicuramente utile per la dimensione libera della vera cultura che non dovrebbe sottostare alla necessità del mercato.
A partire da questo interesse, indotto e sollecitato dai tanti mesi trascorsi a casa, ho avuto modo di approcciarmi al mondo islamico, leggendo soprattutto alcuni poeti arabi appartenenti alla corte di Federico II e che hanno influenzato notevolmente la nostra cultura siciliana, da Ibn al-Qattà a Ibn Hamdìs, passando dal poeta che soggiornò alcuni anni nella nostra Butera dal nome emblematico di Al-Buhturi. La riflessione di oggi vuole essere una finestra verso un mondo che conosciamo solo sommariamente e per di più a partire dal fondamentalismo islamico che mette in ombra, quasi distruggendo, tutta la ricchezza che ha nel suo interno.
Sir Allamah Muhammad Iqba (1877-1938), è stato un poeta, filosofo e letterato irdu e viene considerato “il padre spirituale” del Pakistan. Nel suo libro Poema celesteripropone l’esperienza del viaggio ultraterreno che compie Dante e lo fa in compagnia del suo Virgilio, il poeta persiano Rumi. Iqbal, al pari di Dante, immagina di scendere le sfere celesti sino ad arrivare al Trono di Dio e lungo il viaggio incontra amici e nemici, dal riformista sudanese Muhammad Ahmad il cui impero fu distrutto dagli inglesi occupanti la valle del Nilo nel 1898 al poeta filosofo musulmano Jamal al-Din al-Afghani.
Balza agli occhi di primo acchito la differenza tra Virgilio e Rumi; a parte il fatto che il persiano è un poeta monoteista mistico, mentre Virgilio è un poeta pagano razionalista; essi svolgono un ruolo totalmente diverso. Virgilio è una guida immanente, tutta legata al mondo terreno, araldo di quella profezia che annuncia la sconfitta della “lupa”, mentre Rumi è un interprete dai toni quasi profetici della verità religiosa, ruolo che nella Commedia di Dante è riservata a Beatrice e poi a San Bernardo e mai a Virgilio. Virgilio non mette piede in Paradiso, mentre Rumi ne discende direttamente. E’ interessante notare la dialettica universale-cosmica presente nello scritto dell’autore pakistano. L’essenza divina è la luce che rimane e che si coglie dopo aver tolto il velo dell’esistente, dopo aver travalicato il proprio sé.
Solo allora l’Epifania divina della luce brucia il cuore e la mente del credente sino ad annullarne la propria individualità. Dante, situandosi nella più matura tradizione cristiana, non annulla l’io, l’individualità e l’umanità di ciascuno, anzi, tale condizione soggettiva viene esaltata dal viaggio e dalla stessa visione di Dio – pinta della effige umana – e non si arriva mai ad un generale quanto neutrale panteismo. Idbal ml suo viaggio fa incontrare Dio principalmente nella natura e nella storia e ha il pregio di dare cittadinanza divina alle piaghe storiche delle vicende umana. La storia sono i giorni di Dio!
Così dice il poeta Iqbal nel suo scritto Javid-nama. Dante e Iqbal, pur mostrando tradizioni e culture diverse, hanno in comune delle reminiscenze antico-persiane che si intersecano nel sottofondo delle diverse immagini simboliche utilizzate da entrambi. Un intreccio intrigante e teoreticamente fecondo che rivelano la comune radice culturale e speculativa tra cristianesimo e Islam e che purtroppo – complici i vari pregiudizi – non è stato ancora studiato a dovere.