Don Puglisi ci indica la via, è un amico attraente, umile e grande
Trentennale del martirio di don Pino Puglisi
Palermo. Cattedrale di Maria Santissima Assunta in Cielo. Il popolo palermitano la gremisce e commemora uno dei tanti martiri di quegli anni insozzati dal fuoco della mafia capeggiata da Riina. Presenti tutti i vescovi di Sicilia aconclusione della sessione autunnale della Conferenza episcopale siciliana. È un martire della Chiesa, don Giuseppe Puglisi, da qualche anno fatto Beato da Papa Francesco.
Un sacerdote che viveva nel “territorio” e metabolizzava, somatizzava i problemi atavici, forse ancestrali, di una Palermo, di una Sicilia che da allora ha rialzato la testa e la parte pulita di essa, la maggior parte dei siciliani, coloro che non si identificano con lo stereotipo del “mafioso”, ha urlato il suo immane “no” a cosa nostra. E per primo viene letto il messaggio di un palermitano di grande levatura morale e di grande spessore. Si tratta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, anche lui colpito, ferito profondamente dalla ferocia dei corleonesi che crivellarono di colpi il fratello Piersanti, nel giorno dell’Epifania, il 6 gennaio 1980, mentre si recava a messa.
Il beato Puglisi ha condiviso un percorso insieme ad altri eroi laici, come Giovanni Falcone, sepolto, un chilometro più giù, nella chiesa di San Domenico. E padre Puglisi ha condiviso anche qualcosa con Paolo Borsellino, essendo stato battezzato nello stesso luogo, la chiesa di Santa Maria della Pietà, alla Kalsa.
Ma non c’è strada a Palermo, in cui non vi sia un epitaffio di ognuna delle centinaia di vittime della violenza mafiosa, come qualche centinaio di metri più in alto, presso l’omonima caserma, quello dedicato ad un altro martire, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. È una città ferita, è una città ancora traumatizzata, dove la mafia vive ancora in una minoranza di popolazione, composta, tanto per fare un esempio, da quegli automobilisti che accelerano anziché fermarsi, sulle strisce pedonali “Ciò che la mafia voleva ottenere – ha scritto nella lettera indirizzata alla gente di Sicilia, letta prima della celebrazione, Sergio Mattarella – con quel brutale assassinio – riferendosi a padre Puglisi- non l’ha ottenuto. Padre Puglisi – ha proseguito il presidente – è simbolo di libertà, di eguaglianza e di giustizia. È simbolo di solidarietà, ancoraggio per le istituzioni”, tutte doti che lo caratterizzano non soltanto con il suo sorriso che disarmava anche i mafiosi. “L’insegnamento di don Pino Puglisi, continuerà a vivere nella comunità nazionale”. Alla celebrazione, presenti tuti i vescovi della Sicilia e delle diocesi che riguardano il territorio ennese, quello di Piazza Armerina, mons. Rosario Gisana, e quello di Nicosia, mons. Giuseppe Schillaci. Il giorno dell’Addolorata, trentennale dell’assassinio di padre Puglisi, ha celebrato il solenne rito Eucaristico in memoria del Beato, il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della CEI. Presenti, gli eroi di oggi, ovvero le forze dell’ordine.
La celebrazione è stata introdotta da mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, che fra le altre cose, ha detto: “In questo giorno, la memoria ci raccoglie per dare un futuro ai nostri giovani”. Ha poi sottolineato, sulla falsa riga della lettera inviatagli da Papa Francesco, come Puglisi sia stato un prete sinodale, proprio nella giornata dell’anniversario dell’istituzione da parte di San Paolo VI, del Sinodo, il 15 settembre 1965. Padre Puglisi, difatti, é stato il prete dell’ascolto e del dialogo, elementi, questi, fondamentali, del Sinodo. “Vi aspettavo – ha detto ai suoi assassini il Beato”. Così mons. Lorefice – “ma quelle parole, quel sorriso davanti alla morte – hanno significato la primavera della città”. E don Pino era un prete che perseguiva gli ideali della giustizia e partecipava alle manifestazioni contro l’ingiustizia. Il cardinale Zuppi ha pronunciato una predica breve e sobria, ricca di significato, distante da ogni forma di retorica: “Don Puglisi ci indica la via, è un amico attraente, umile e grande. Ci spinge a metterci a servizio di Dio e del prossimo”.
Il cardinale ha espresso lo sdegno per la violenza brutale che ha ucciso il Beato; “quella violenza ha un nome: mafia! Ed è fatta da uomini che si nascondono, dispensando morte, timore e tremore”. Ma la mafia non è stata sconfitta; oggi è più pericolosa che mai, perché infiltrata nell’economia, nella quale i suoi rappresentanti, reinvestono i proventi del traffico di droga e degli esseri umani. Oggi più che mai la mafia è viva e deve essere affrontata, combattuta e battuta. E il cardinale Matteo Zuppi non ha mancato di sottolineare le parole che tuonò San Giovanni Paolo II ad Agrigento, nel maggio del 1993, quando rivolgendosi ai mafiosi disse: “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio”. E furono quelle parole forti che probabilmente indussero i mafiosi, a colpire, per rappresaglia, la Chiesa nel suo cuore, assassinando Padre Puglisi. “P. Puglisi ci indica la via ed è un amico attraente, umile e grande. Ci spinge a metterci a servizio di Dio. Ci spinge a metterci a servizio del prossimo”. “Abbiamo bisogno di Gesù che ha dato la vita per amore e per amore si resta sotto la croce, come Maria. E se a Palermo qualcuno vuole trovare Dio, oggi trova p Pino Puglisi”. Il frutto del sacrificio del Beato lo viviamo anche noi, oggi, senza titubanze che ci rendono vulnerabili. “P.Pino ha spiegato il Padre nostro e conosceva i suoi giovani uno ad uno”. E Palermo, con la celebrazione del cardinale Zuppi, rinasce ancora una volta nella speranza dei Siciliani onesti, perché di lavoro da fare ce n’è ancora tanto, non fosse altro per onorare la memoria di tutti gli eroi che per debellarla, sono stati e sono, ancor oggi, da essa, martirizzati.