L'omicidio-suicidio nel corto di Ludovica Liparoti
LA STORIA Il rifiuto di Sestina e quella ferita ancora aperta di Favignana
Pacata, ponderata, tranquilla esteriormente Ludovica Liparoti sembra custodire il fuoco sotto la cenere. Lo testimonia la sua scelta culturale: studia da tre anni al Dams ( Disciplina, arti, media, spettacolo) di Brescia ed, a soli 20 anni, dimostra di poter affrontare temi spinosi che, dalla notte dei tempi, impegnano tragediografi, filosofi, sociologi o semplicemente l’uomo con le sue mille sfaccettature.
Eros e thanàtos si intersecano e gettano sangue: dal cuore in senso figurato e dalla vene, come avviene nella realtà degli omicidi. Ludovica nata e cresciuta nella città ‘Leonessa d’Italia’, ha sangue siciliano nelle vene: favignanese per parte di madre e sanvito-gelese per parte di padre.
La sua fantasia di bambina è stata colpita da un racconto dai contorni esoterici che ha lo sfondo del mare, dell’amore e del possesso tutto siciliano che oggi è stato esportato in tutto il mondo. Il delitto d’onore che si lavava col sangue oggi ribattezzato come ‘femminicidio’. Ha scavato nei suoi ricordi di bambina ed ha trovato una storia antica, tristemente sovrapponibile alla nuova realtà cruenta del XXI secolo in cui un ‘non ti amo più’, ha il sapore della morte e ne ha fatto un cortometraggio incisivo e moderno che si innesta perfettamente con i temi del sociale legati alla donna a cui il ‘No’ è negato e di cui le cronache sono ormai sature.
Il racconto è fluido come lo sfondo del mare che fa da cornice: giornalistico e misterioso. “Da tanti anni la mia famiglia mi racconta un sogno particolare – spiega la giovane regista – paranormale e inquietante che ha fatto mia zia. Quando mi è stato proposto di girare un cortometraggio, principalmente per fare esperienza, ho pensato immediatamente a quel sogno, e infatti il mio documentario inizia proprio così, per poi svilupparsi nella storia di un omicidio-femminicidio avvenuto negli anni ‘50 a Favignana, una piccola isola delle Isole Egadi dove tutti si conoscono e sono imparentati.
Ad aiutarmi a capire le dinamiche della tragedia sono stati il cugino dell’assassino Pietro Roccia e mia zia Agata Tedesco. Sullo sfondo di questo dramma c’è l’isola, il mare e gli abitanti, raccontati dallo storico di Favignana, Pietro Tortorici. Il cortometraggio punta a evidenziare il problema sociale, all’epoca ancora agli esordi, che ha macchiato l’isola, apparentemente tranquilla, di un doppio delitto”.
Giulia Donato, 23 anni, Genova, Martina Scialdone, 34 anni, Roma, Oriana Brunelli, 70 anni, Rimini, Teresa Di Tondo, 44 anni, Trani, Yana Malayko, 23 anni, Mantova, Antonia Vacchelli, 86 anni Lecco. Un lungo elenco di sangue che continua a mietere vittime. Tante, troppe!
In media otto vittime al mese: 125 vittime di sesso femminile (circa 39%) dei 319 omicidi registrati nel 2022. E sono solo a pochi mesi fa. Ma l’elenco è lungo e affonda le redici nella notte dei tempi, nel mito che sta a metà fra fantasia e realtà. La figlia di Agamennone fu uccisa per poter vincere la guerra di Troia. Una ragazza viene uccisa per permettere il successo di una guerra di conquista; la guerra porterà a massacrare un nemico giudicato razzialmente e culturalmente inferiore. E il pretesto della guerra è: punire una donna che ha lasciato il marito.
Il nucleo ideologico del mito l’esaltazione dell’imperialismo colonialista, dell’oppressione violenta delle donne, del femminicidio sono sconvolgenti. Euripide, nella sua ultima tragedia Ifigenia in Aulide, sceglie di rendere il mito ancora più sbalorditivo. Un altro esempio di morte al femminile è fornito da Clitennestra uccisa dal figlio Oreste. La forza di Antigone non basta: lei additata pubblicamente come ribelle, cede. E l’elenco continua passando dall’amore eterno di Francesca da Rimini uccisa per aver scelto di amare fuori dalle regole; continua con la Baronessa di Carini e tante, tante altre…
Un tempo si chiamava uxoricidio e si consumava fra le mura domestiche. Nel XXI secolo il matrimonio non va più di moda ma le donne vengono uccise ancora per mano degli uomini e il termine socio-giudiziario è cambiato si chiama femminicidio. Ma cambiando il termine il risultato non cambia e la donna soccombe sempre. Anche quando tenta di alzare la testa e di decidere autonomamente chi e se amare.
Qui sta la sua condanna. Oggi come un tempo. In questo contesto dannatamente uguale nei secoli, si innesta il lavoro realizzato da una giovane report maker bresciana di nascita e siciliana per sangue, Ludovica Liparoti. Già il cognome dice tutto sulla sicilianità, e la sua storia, selezionata al Festival del cinema della Croazia, si muove fra le onde dell’isola di Favignana. Ma il femminicidio fa ancora notizia? I casi si rincorrono a ritmi incalzanti e la gente si è abituata. Fa notizia oggi per la famiglia coinvolta e, ad effetto domino su chi l’ascolta a distanza. Diventava un dramma oltre sessant’anni fa e coinvolgeva un’intera comunità.
Ed è qui che si sviluppa il reportage: una sorta di Cold case in cui la giovane registra ripercorre con metodo giornalistico l’evento delittuoso che la sconvolto l’isoletta e che ancora viene ricordato con tremore al cuore dagli anziani che l’hanno vissuto. Ludovica li intervista per sentire dalla loro voce il racconto sui fatti e sui retroscena. La storia raccontata parte da un sogno; uno di quelli inquietanti che colpì la fantasia di Ludovica bambina. Un sogno che trasudava di esoterico: un ponte misterioso che collega il mondo dei vivi a quello dei morti.
“Ho fatto un sogno strano – racconta Agata Tedesco – mi trovavo in una casa ed ho visto Salvatore. Io mi rendevo conto che avevo davanti agli occhi un uomo morto ma si presentava vivo di fronte a me. Gliel’ho detto: cosa ci fai qui, tu sei morto ed io ho paura”. Salvatore è l’uomo che si è macchiato del delitto nei confronti della fidanzata Sestina, il 10 febbraio 1959 a Favignana.
“Savatore ha iniziato il suo percorso lavorativo in marina e poi ha preso la patente da macchinista – racconta lo zio Pietro – ero una persona molto stimata dai favignanesi”.
Andar per mare per quel popolo era naturale perché a quel tempo l’economia di Favignana era basata su quanto potesse offrire il mare. Le parole dure dei testimoni raccontano un delitto efferato eppure sono smorzate dalle immagini suggestive di un mare limpido e blu intenso, delimitato dalle banchine e girate dall’alto con la maestria di un regista consumato. Paesaggi incontaminati che non possono far pensare al sangue che contiene la vicenda dolorosa.
Il racconto continua col sogno: “ devi andare da mia madre, mi devi fare questo favore, e devi dargli qualcosa mi indicava degli stracci – dice la zia Agata, che per Salvatore era solo una vicina di casa ce aveva vissuto il dramma della famiglia – mi ha fatto promettere che sarei andata. Mi rendevo conto che la madre non mi avrebbe creduto. Più tardi capii che quei pezzi di stoffa indicavano le lettere che Salvatore aveva scritto per Sestina e che avrebbe voluto fossero restituite alla famiglia: sono andata dalla madre e lei dalla descrizione degli stracci, prima sbiancò in viso e capì: si trattava della sua camicia a righe che la madre baciava ogni mattina e ci parlava, poi la riponeva per tirarla fuori il giorno dopo”.
Segnali tangibili da un mondo ultraterreno su oggetti reali. “A pochi giorni dal matrimonio era tutto pronto – riprende Pietro – ma Sestina, un giorno, ha detto basta: ‘non provo più niente. Non voglio sposarti’. Un colpo al cuore. Seguirono una serie di umiliazioni: Salvatore continuava ad implorare il suo amore, chiedeva di riprovarci di ripensarci, ma la giovane donna ha detto no. E questa era la sua ultima parola!” Davanti al suo rifiuto il ventisettenne non ha visto futuro per sé, né per quella giovane che avrebbe dovuto essere la sua donna e che avrebbe voluto sottrarsi all’amore invadente.
L’unico futuro insieme era la morte: ha tirato fuori la pistola ed ha sparato. Prima a Sestina e poi a se stesso. A morte. L’ha fatto vicino al mare: si è sporto e dopo il colpo è finito giù in acqua. Finisce cosi una storia di amore e morte; di possesso e disperazione; di un tunnel senza ritorno. “Queste cose sono sempre esistite e sempre esisteranno. Oggi è l’ammazza-ammazza” – conclude tragicamente la zia Agata: e la realtà le dà ragione. Ludovica identifica questa storia con” l’ideale dell’ostrica ovvero la necessità di rimanere vincolati al proprio ambiente, di porsi al di fuori del fiume del progresso e della storia.
Se l’ostrica si stacca dallo scoglio, verrà divorata da qualche predatore. Allo stesso modo, quando il singolo individuo decide di lasciare il suo ambiente per migliorare la propria vita, finisce inevitabilmente con l’essere divorato dal mondo. Questa è la storia di una donna a cui è stato negato il diritto di scegliere del proprio futuro”. Era il tempo in cui la donna non aveva la possibilità di decidere “.
Il lavoro è stato presentato al Festival croato di Dubrovnick che si terrà dal 19 al 22 ottobre prossimi, dal Prof. Marco Meazzini; produttore esecutivo e audio Lia Cocca; fotografia Fabio Piozzi; operatore camera Marco Meazzini; sceneggiatura Francesco Costa; montaggio produzione e regia Ludovica Liparoti.