La grande carestia del 1647 in Sicilia e la perdita del titolo di “granaio del Mediterraneo”, in un saggio di Salvatore Andrea Galizia. Non c’era più grano e la Sicilia aveva toccato il fondo in tutti i sensi: le male annate, le sciagure climatiche, una dietro l’altra, la pesante pressione fiscale, la corruzione e la galoppante speculazione nel mercato cerealicolo, la crisi alimentare e demografica, interi territori decimati. Sono queste le cause e gli effetti di una triste e dolorosa pagina che colpì particolarmente la parte sud orientale dell’Isola. Perchè proprio quella parte? Probabilmente perché distante dal centro, un po’ come accade oggi in cui l’entroterra sembra soffrire più di altri territori l’isolamento istituzionale.
L’autore nella sua ricerca storica ricostruisce il quadro geo-socio-politico e meteorologico di una Sicilia, dominata dalla potenza spagnola, e che nel terzo anno consecutivo di cattivi raccolti (1647) va incontro ad una fase acuta della carestia. “L’eloquenza e la rilevanza storica di questo periodo, rispetto ai precedenti, ci viene da un dato preciso – afferma il prof. Galizia – la Sicilia da storico granaio si ritrovò ad acquistare grano dal regno di Sardegna, unico mercato al tempo disponibile. Come si arrivò a questo punto? E’ la domanda che mi sono posto e i documenti consultati restituiscono dati interessanti. La produzione cerealicola si contrasse da 500 mila a 30 mila salme annuali, impressionante anche la contrazione nell’esportazione fino alla perdita totale dell’autosufficienza alimentare. Sul finire del sedicesimo secolo e per tutto il diciassettesimo il clima un po’ in tutta Europa era particolarmente rigido. Grandi gelate, abbondanti nevicate anche fuori stagione, inondazioni. Una vera catastrofe. Ma non fu solo questo. Con la crisi cedettero anche gli equilibri sociali e amministrativi, generando speculazioni e ruberie. Le poche risorse disponibili venivano polarizzate dalle fasce privilegiate. Personaggi senza scrupoli e religiosi compiacenti nascondevano scorte di cereali per poi rivenderli nel momento opportuno”. La soluzione all’emergenza sarebbe stata una radicale socializzazione dei beni disponibili ma invece assistiamo ad un immobilismo e un uso spregiudicato di privilegi, irregolarità, furti, cattiva amministrazione a tutti i livelli. L’emergenza sembrava raggiungere il suo apice quando il vicerè Los Veles si ammalò gravemente e designò il cardinale Trivulzio come presidente del Regno, il quale proverà a dare una svolta nella gestione della crisi sia sul versante delle forniture frumentarie che sulla lotta alla dilagante corruzione. Ma quali furono gli effetti sulla popolazione? L’autore definisce “inquietante” lo spettacolo offerto dai paesi e dalle campagne dell’entroterra siciliano. “Le città e le campagne in quei mesi assunsero un aspetto impressionante – continua Galizia – decine di migliaia di disperati girovagavano lungo il regno in cerca di cibo e molti di questi morivano lungo le strade, nelle piazze, attorno le masserie. Una tragedia senza pari, basta leggere gli atti di sepoltura lasciatici dai parroci. La cittadina disponeva di una unica parrocchia impegnata nell’impartire i sacramenti a centinaia e centinaia di moribondi oltre che a celebrare fino a 7 funerali al giorno”. Ecco i dati che fornisce Galizia nel suo saggio “La grande carestia del 1647 in Sicilia, privilegi frodi e crisi demografica”: nella sola Mazzarino nei primi cinque mesi del ‘48 vennero trovati morti per strada decine di forestieri di cui bambini che vennero sepolti nelle chiese del Santissimo Salvatore e Santissimo Crocifisso. Si arrivò fino a 80 sepolture di forestieri. Famiglie intere si spensero per fame in pochi giorni quasi fossero colte da pestilenza. Nel 1648 la mortalità raggiunse livelli elevatissimi un po’ dappertutto ma la più elevata la ritroviamo a Mazzarino +134%. Solo dopo qualche decennio si riuscì a colmare i vuoti demografici. Tra il ‘45 e ‘48 a Mazzarino i decessi aumentarono del 412% mentre gli abitanti si riducono da 7600 a 5108 e si dovrà attendere almeno 15 anni per recuperare la popolazione perduta. Nella vicina Barrafranca il numero delle sepolture passa da 29 unità nel 1643 a 164 tre anni dopo e a ben 250 nel terribile 1648. Situazione simile a Butera. Nell’attuale Gela i battesimi crollano per 5 anni di fila riducendosi a meno della metà rispetto al biennio 1643/44. Non molto migliore la situazione a Piazza Armerina e Caltagirone. Se confrontiamo i dati dei censimenti del 1636 con quelli del 1651 comprendiamo che la popolazione siciliana nel suo complesso abbia avuto una contrazione stimabile attorno al 18%.