Egli, infatti, si considera “partecipe” (
sugkōinonos, συγκοινωνὸς) del Vangelo, ovvero in grado di condividere con l’altro e alla pari un contenuto, un messaggio chiaro, come fosse un nutrimento raccomandato; in un primo passaggio (1Cor 8,7-13), infatti, l’apostolo aveva portato il discorso sulla libertà di astenersi o meno dal mangiare le carni macellate durante i riti sacri della religione pagana dei Corinzi con l’obbiettivo di non turbare nessuno dei fratelli che, magari, non avrebbero potuto comprendere del tutto quello che stava accadendo; in un secondo passaggio (1Cor 9,1-14), poi, egli aveva virato sull’argomento che riguardava la propria condizione di uomo che doveva pur mantenersi, mangiare, dormire e vestire, senza però rivendicare minimamente il diritto di vivere di quanto la comunità di Corinto poteva offrirgli in denaro per aiutarlo, al fine di ancora di più mettere al centro ogni fratello e ogni sorella della comunità di Corinto evitando, ancora una volta, di turbarli. Diversamente, sarebbe stato come vanificare in un attimo i sacrifici di tutta una vita vissuta all’insegna della missione. Ai Corinzi, è stato sufficiente chiedere di essere come Cristo, accogliendo il Vangelo e cominciando piano piano a lasciarsi trasformare fino a rivestire una condizione interiore libera e generosa; per l’apostolo, invece, è necessario rimanere libero e sciolto da ogni legame che condizioni l’autenticità dell’annuncio fino al punto di considerarsi senza diritti e privilegi. La
partecipazione al Vangelo, dunque, è data secondo proporzioni che cambiano da soggetto a soggetto e quelle relative al cammino personale di Paolo sono estremamente diverse rispetto quelle del più semplice e fragile dei fratelli o delle sorelle della comunità, nonostante il risultato finale, l’essere come Cristo, sia identico per entrambi. L’apostolo vive esigenze più impegnative e perciò esercita un discernimento continuo e prolungato nella quotidianità al fine di
partecipare del Vangelo: quindi, non solo un missionario che annuncia, ma anche un discepolo che ascolta e realizza nella propria vita lo stesso Vangelo trasmesso. I fratelli, come «
neonati in Cristo» (1Cor 3,1), partecipano del vangelo scegliendo la vita di Cristo, iniziando con il rito del battesimo fino a continuare a rivestire l’uomo nuovo; Paolo, invece, partecipa del vangelo amando la comunità di Corinto, fatta di persone di ogni estrazione sociale, etnica e religiosa e interpretando l’amore per essa come un battesimo, un’ “immersione” totale. «
Mi sono fatto servo di tutti» (1Cor 9,19) al fine di “guadagnare” (κερδαίνω) tante persone nei confronti del Vangelo come compenso per il lavoro svolto. Giudei e deboli, le due categorie di persone menzionate in questo resoconto della sua attività di servizio
oneroso: uomini e donne “forti” perché appartenenti alla religione degli ebrei e uomini e donne “deboli” perché pagani. Due categorie contrassegnate da un potenziale apparente che è la religione, ma di fatto menzionate per essere state la “ricompensa” per il servizio al Vangelo da parte dell’apostolo. Sono queste le dinamiche di un’azione apostolica che ha fatto irruzione nella vita ordinaria della città per condurre le persone alla comunità, come verso un luogo fatto di uomini e donne, destinati reciprocamente. Non verso una nuova religione e non verso un nuovo sistema di regole e precetti vari; bensì, verso un luogo di ascolto sia dei racconti dell’apostolo durante la
fractio panis, sia della vita dell’altro come di un destino a cui orientarsi continuamente. Non un movimento religioso o, peggio, una nuova setta di cui soltanto alcuni eletti possono esserne parte, mentre tutti gli altri vengono esclusi in partenza; ma una
comunione di vita, una partecipazione al Vangelo, che coinvolge sè stessi e gli altri, e viceversa.
Spunti e appunti per una Lectio personale
Profeti al servizio del vangelo
Giovanni 8,31«Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»
(Vedi anche Ezechiele 2,5; 2Timoteo 4,2; Sapienza 6,22)