«Dio infatti è degno di fede» (10,13)
La fede della comunità di Corinto nel Dio dei padri: la fine dei tempi (1Cor 10,1-13)
In questo esatto punto della lettera, l’esortazione rivolta ai Corinti muove su aspetti inediti. Se prima, infatti, l’apostolo aveva ammonito direttamente i fratelli e le sorelle per le questioni inerenti l’andamento della comunità, in questa parte della lettera, li ammonisce indirettamente, menzionando lo stile di vita che l’Israele antico conservò per la durata del viaggio nel deserto, dopo la fuga dall’Egitto. Uno stile contrassegnato dal rapporto con Dio, attraverso segni e prodigi donati generosamente, accolti e vissuti, fino a quando nei momenti di crisi lo stesso rapporto non si è incrinato. Così facendo, l’apostolo imprime al testo un rallentamento che, allo stesso tempo però, promuove quella sensibilità verso la storia della salvezza che è la chiave per aprire e chiudere ogni connessione con il “suo” vangelo. Senza la conoscenza dei fatti riguardanti il popolo d’Israele, infatti, la fede dei nuovi fratelli rimane sospesa, senza un’àncora di ragguaglio e senza contenuti antecedenti.
Il battesimo degli ebrei «in rapporto a Mosè nella nube e nel mare» (1Cor 10,1) salda il tempo presente con il tempo eterno con cui l’intera storia della salvezza è declinata di attimo in attimo; un tempo fatto di segni e prodigi, com’è noto, ma soprattutto sigillato con il segno del battesimo. Cibo, bevanda e roccia spirituale vengono richiamati come figura di Cristo, inaugurando così i primi passi di quella che sarà la catechesi mistagogica della chiesa antica per i neo-battezzati. L’esempio (1Cor 10,6.11) dei padri e l’attenzione delle nuove comunità a proposito introduce ad una visione diversa del tempo e della storia, quella cioè in cui è presente, tangibile e verificabile la «fine dei tempi» (1Cor 10,11), la cui cifra è la tentazione e «il modo di uscirne per poterla sostenere». Per cui, la fine di ogni cosa segna l’inizio di un punto di vista diverso riguardo al vivere: una capacità che s’innesta con le forze umane e produce vitalità soprattutto nella crisi, nella tentazione appunto.
La «fine dei tempi» (télos tōn aiónon, τέλος τῶν αἰώνων) è collocazione spazio-temporale del Signore nostro Gesù Cristo il quale, venendo in mezzo ai suoi, intende fare luce e chiarezza: «Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor 1,8). Quel giorno (ἐν τῇ ἡμέρᾳ τοῦ Κυρίου ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ) è occasione di consegna al Padre della realtà, della vita e della comunità tutta che l’apostolo considera “regno”:«Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza» (1Cor 15,24), ma è altresì passaggio conclusivo di tutto quanto il male, poichè «ridotto a nulla» (katargéo, καταργέω). Ritorna così il pensiero che l’apostolo considera il movente della scrittura principale del testo della lettera: ridimensionare tutto ciò che presume essere o avere una consistenza, letteralmente «ridurre al nulla le cose che sono» (1Cor 1,28). «Fine dei tempi», dunque, ma anche fine delle entità gonfie di orgoglio, delle presenze ingombranti nei confronti di «quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla», ma che Dio ha scelto e privilegiato (1Cor 1,28).
La stagione della comunità a Corinto è segnata dal pericolo di intraprendere strade e percorsi di vita contrari al «pensiero di Cristo» (1Cor 2,16) e cioè l’idolatria (10,7), l’impurità (10,8), la provocazione di Dio (10,9), la mormorazione (10,10): tutti aspetti di una contrapposizione al vangelo dell’apostolo che racchiudono tanto della tradizione degli antichi e tanta sensibilità che confluirà poi negli scritti e negli insegnamenti dei padri apostolici e della chiesa. Ciò che l’apostolo però sottolinea non riguarda tanto i rischi in cui la comunità potrebbe venirsi a trovare, quanto piuttosto la certezza che Dio non permetta di essere tentati «oltre le proprie forze» (10,13), disponendo per i fratelli e le sorelle un qualche «modo» per superare il momento. Anche su questo aspetto la tradizione dei padri apostolici e della chiesa ha sviscerato aspetti molto importanti che sono diventati pilastri della teologia della grazia; in modo particolare, Agostino ha avuto illuminazioni folgoranti in merito consegnando, poi, a Tommaso d’Aquino un’eredità unica verso la quale dedicherà tempo e forze oltre ogni aspettativa. Tuttavia, a questo proposito è necessario chiarire come la visione di Paolo in merito agli aiuti di Dio verso l’uomo e la sua caducità nelle parole di questa lettera scritta ai Corinti fanno affidamento alla stabilità di Dio, del quale egli afferma essere «degno di fede», come in 1Cor 1,9, ammiccando alla condizione di quei «neonati in Cristo» (1Cor 3,1) verso i quali l’apostolo ha rivolto la propria predicazione basandosi sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza affinché la «fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio» (1Cor 2,5). Fede e stabilità nella concezione biblica giudaica (più che greca) sono concetti che si sovrappongono, richiamandosi a vicenda: ciò che è stabile è degno di fede e ciò che è fedele promuove, accompagna e impone stabilità, coerenza, equilibrio, continuità.
L’esperienza delle comunità nel tempo e fino ai nostri giorni è stata sempre collocata nel solco della tradizione di una predicazione sulla fedeltà di Dio, a sua volta «degno di fede», poiché in grado di ridurre a nulla ogni cosa (1Cor 1,28 e 15,24) e, quindi, in grado di spostare le lancette del tempo verso “la fine” di tutto ciò che presume di essere qualcosa.
Ma sia il cammino della Chiesa quanto il cammino personale del credente riescono a confrontarsi con la fedeltà di Dio e il suo proposito di ridimensionare ogni entità autoreferenziale e “gonfia” di sè? E quanto autentica è la fede verso Dio se la paura di essere ridimensionati produce resistenza nei confronti della storia? Come legge la Chiesa e ogni singola comunità il ridimensionamento dei numeri di coloro che vivono l’ecclesialità nelle comunità come cristiani credibili e autentici?
Spunti e appunti per una Lectio personale
Dio, «degno di fede»
Esodo 10, «1Va’ dal faraone, perché io ho indurito il cuore suo e dei suoi ministri, per compiere questi miei segni in mezzo a loro2e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio come mi sono preso gioco degli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro: così saprete che io sono il Signore!»
(Vedi anche Neemia 9; Daniele 3,52-56; 1Tessalonicesi 5,24; Apocalisse 5,8-14)