Festeggiato Sant’Antonio di Padova nella chiesa di San Leone in Aidone
Nella giornata del 13 giugno presso la chiesa di San Leone in Aidone, in occasione della festa di Sant’Antonio di Padova, dopo il Santo Rosario e la relativa Coroncina del medesimo Santo, è stata celebrata la Santa Messa dai parroci Giacinto Magro della parrocchia di San Lorenzo e Carmelo Cosenza della parrocchia Santa Maria La Cava, con il coinvolgimento di padre Filippo Vitanza, dell’ex governatore Vito Desimone e della signora Ilda Gueli (ministro straordinario della Santa Comunione), nonché del coro della Matrice, alla presenza di numerosi devoti e di fedeli. A seguire la benedizione dei pani.
Durante l’omelia padre Giacinto Magro ha tracciato per grandi linee il percorso di Fernando (Sant’Antonio di Padova) improntato da tanto impegno cristiano e francescano nel suo breve cammino di fede, avendo vissuto per 33 anni: né il dolore manifesto del padre, né il rimprovero dei congiunti o la meraviglia ironica dei conoscenti, né le lusinghe del mondo lo sviarono dal suo proposito. A quindici anni compiuti, il primogenito Di Martino dei Buglioni, entrava nella mole severa del monastero di S. Vincenzo de Fora dei Canonici Regolari di S. Agostino. In detto monastero, ha precisato il teologo Magro, “non erano questi dei canonici come noi ora intendiamo, né veri e propri monaci. Erano religiosi che ubbidivano a una regola o canone ispirato ad alcune norme del grande Dottore da cui presero il nome. Oltre che alle pratiche religiose e alla cura delle anime si dedicavano in modo particolare allo studio”. Questo studio intenso assiduo non gli faceva punto trascurare la più osservanza dei doveri impostigli dalla regola, “sia nel servizio del tempio, sia nelle umili mansioni del monastero di Montepaolo”, ha affermato padre Giacinto. Invero “tra i libri lo teneva la volontà, nella chiesa il cuore l’anima tutta: la chiesa era sempre il suo rifugio, il suo paradiso”. Nel 1220, forse sul finire della primavera, il Santo lasciò la Regola degli Agostiniani per passare ai Francescani. Stava per finire l’autunno del 1220 quando Antonio salpò verso l’Africa. Nella primavera del 1221, ecco il Santo per la prima volta su terra italiana. La Provvidenza per vie ignote aveva condotto lui straniero alla patria del Santo d’Italia di cui si era fatto umile seguace, al paese che, ha detto don Giacinto Magro “diverrà la sua seconda patria e in cui particolarmente svolgerà la sua missione evangelica di ricondurre le genti alla penitenza alla pace alla carità”. Qui Egli continuerà l’opera di Francesco d’Assisi. In Forlì, l’anno 1222, in occasione delle sacre Ordinazioni, convennero numerosi Francescani e Domenicani per accompagnare i giovani chierici. Vi scesero i frati di Montepaolo con il Guardiano e Antonio. Avvenne che, qui padre Giacinto Magro ha minuziosamente e particolarmente precisato, trovandosi tutti radunati o per una conferenza spirituale o avvicinandosi il momento della Ordinazione, il Ministro del luogo, forse per l’assenza dell’oratore, vedendo tanti Padri Predicatori, pregasse che qualcuno di loro rivolgesse parole esortatrici e di salute alle anime sitibonde di ascoltare la voce del Signore. Si schermirono i Padri Domenicani dicendosi non preparati, colti così all’improvviso; si schermirono i Minori per lo stesso motivo e perché il rifiuto dei Predicatori rendeva più difficile il loro compito. Il Ministro cui parve alquanto strana questa difficoltà, dolendosi che la sua proposta cadesse, volse lo sguardo intorno su tutti i convenuti. Lo fermò su Antonio che raccolto in sé stava immobile con gli occhi bassi per farsi notare ancor meno. Il Ministro non lo credeva certo più dotto e pronto degli altri, ma lo sapeva sacerdote. Una qualche conoscenza della Scrittura, almeno dalle letture del suo ministero ecclesiastico doveva pur averla, inoltre qualche parola, tra le poche udite, gli avevano fatto notare una certa distinzione. Per questi motivi o per un’ispirazione interna invitò l’umile fraticello a tenere quel sermone a cui ogni altro s’era rifiutato. Si turbò Antonio e si disse inetto inferiore agli altri. Non poterono trattenersi dal sorridere i confratelli di Montepaolo. Lo rivedevano nell’atto di rigovernare le stoviglie o di spazzare il romitorio e non potevano immaginarlo in quella di predicatore. Insistè il Ministro, e quando vide l’esortazione non smoveva il Santo dal suo proposito di silenzio, allora gl’impose l’obbedienza di dire senza indugio quanto lo Spirito del Signore venisse suggerendogli. Con ciò si faceva strumento della Provvidenza la quale voleva che la fiaccola nascosta brillasse ormai dal sul candelabro. Stavano sospesi gli animi di tutti: padri, ordinandi e laici. La voce del Ministro aveva assunto un tono insolito di autorità. Poteva il fraticello venir meno all’obbedienza quantunque a suo giudizio si sentisse impreparato insufficiente? Il fraticello chinò il capo e s’apprestò a parlare. Cominciò proprio con S. Paolo: “Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di Croce”. Dapprima le parole uscirono dalla sua bocca lente slegate, quasi il pensiero fosse incerto e difficile il rivestirlo delle forme verbali; poi, man mano il discorso procedeva, la convinzione sincera dell’animo lo rese più spedito e sicuro e finì col trascinare l’oratore e col fargli dimenticare ogni ritrosia. Il sorriso di compatimento era scomparso dal labbro dei confratelli di Montepaolo, sostituito prima da una meraviglia attonita, poi da una gioia manifesta perché Antonio era pur del loro romitorio. Gli altri Minori e i Domenicani, che attendevano con una certa curiosità come si sarebbe disimpegnato quel fraticello che prometteva così poco, si fecero più attenti e finirono col lasciarsi trasportare dall’impeto di quella parola. Le menti dei dotti restarono illuminate da luci insospettate e, quel che più conta, le anime di tutti si riscaldarono a un fuoco ardente di devozione di carità di zelo. Se quella non fosse stata una riunione di sacerdoti di frati di chierici in luogo sacro, l’applauso sarebbe scoppiato infrenabile. Non fu possibile trattenere il mormorio e qualche voce sommessa di approvazione. “La sapienza accumulata in più anni di studio, tenuta gelosamente nascosta, aveva suscitato bagliori come le gemme all’aprirsi improvviso dello scrigno sotto la luce viva. La santità dissimulata dalla umiltà era traboccata dal vaso e aveva diffuso il profumo della più rara virtù. Così dottrina sacra e profana ampia varia profonda; carità ardente verso Dio e il prossimo, e in particolare la devozione tenerissima verso Gesù avevano dato un’efficacia una vita un calore al discorso del fraticello da trasfigurarne anche la persona. Pareva si fosse rinnovato il prodigio degli Apostoli”. Compiuta l’Ordinazione per la quale si erano raccolti tanti religiosi in Forlì, tornarono tutti ai loro conventi ed eremi. Anche Antonio ritornò con i suoi confratelli alla solitudine di Montepaolo. Egli non era mutato: era sempre il fraticello umile raccolto in sé silenzioso.