Domenica scorsa, 27 ottobre Papa Francesco, ha ricordato, durante la Celebrazione Eucaristica, che ha concluso il Sinodo sulla sinodalità, che Egli porta nel cuore tanta gratitudine. Il Santo Padre ha accolto il documento finale come un dono che i sinodali hanno fatto a lui personalmente, poi alla Chiesa e persino all’intera umanità. Nell’Omelia della celebrazione Eucaristica, ha citato il Vangelo che presentava Bartimeo, un cieco che è costretto a mendicare ai bordi della strada, uno scartato senza speranza che, però, sentendo passare Gesù, inizia a gridare verso di Lui. Il Santo Padre ha invitato tutti a cogliere, nel Signore che passa, l’opportunità del nostro cambiamento. [expander_maker id=”1″ ] Egli nello Spirito passa sempre e si ferma per prendersi cura della nostra cecità. Ed è bello che il Sinodo ci ha spinto ad essere Chiesa che grida e inoltre a far nostro l’invito di Gesù: “Cosa vuoi che io ti faccia”. Il dono che, in altri termini, la Chiesa, con il documento finale, ha ricevuto è la risposta dello Spirito Santo al grido che da più parti è arrivato chiedendo luce, in questo tempo complesso, in questo tempo di drammi e polarizzazioni diversi; questo Sinodo Globale ha visto tutta la Chiesa riunita sia nella diversità di vocazioni, sia di rappresentatività ampia perché era lì rappresentata ogni area geografica; in verità è un segno forte di speranza. La grande novità che si è sperimentata e dalla quale non si potrà tornare indietro è stato recuperare una parte importante del Concilio Vaticano II, che ha definito la Chiesa come popolo di Dio. Ricordiamo la costituzione Lumen Gentium, che nel primo capitolo parla di una Chiesa che è mistero, la Trinità si comprende quando si riflette nella struttura del popolo di Dio. La Chiesa è mistero perché nasce dal cuore di Gesù, ma la seconda parte del documento definisce la Chiesa “Popolo di Dio”. In questa definizione, il Battesimo è il sacramento principale attraverso il quale siamo tutti in Cristo e tutti partecipiamo al suo progetto di costruzione del Regno di Dio. Credo che la novità sia continuare a recuperare questo contributo, richiamando l’attenzione sulla responsabilità, o meglio, come si dice nel documento sinodale, sulla corresponsabilità di tutti i battezzati nel progetto missionario della Chiesa.Il Sinodo sulla sinodalità si è concluso dopo un mese di intensi dibattiti e riflessioni, è stato un incontro globale che ha riunito vescovi, sacerdoti e laici provenienti da varie parti del mondo per esplorare e definire il cammino verso una Chiesa sinodale; cioè come realizzare in modo reale ed efficace che il Popolo di Dio cammini insieme nella comunione e nella fraternità. Scorrendo il documento, gli occhi balzano su diversi numeri i quali mi sembraoffranoil cuore propulsore del documento stesso per continuare a riflettere e attuare tutto il resto.
Ai numeri 27 e 28 così recita il documento: 27. Esiste uno stretto legame tra synaxis e synodos, tra l’assemblea eucaristica e quella sinodale. Pur in forma diversa, in entrambe si realizza la promessa di Gesù di essere presente dove due o tre sono riuniti nel Suo nome (cfr. Mt 18,20). […] È Lui che assicura l’unità del Corpo ecclesiale di Cristo nell’assemblea eucaristica come in quella sinodale. La liturgia è un ascolto della Parola di Dio e una risposta alla sua iniziativa di alleanza. Anche l’assemblea sinodale è un ascolto della medesima Parola, che risuona tanto nei segni dei tempi quanto nel cuore dei Fedeli, e una risposta dell’assemblea che discerne la volontà di Dio per metterla in pratica. L’approfondimento del legame tra liturgia e sinodalità aiuterà tutte le comunità cristiane, nella pluriformità delle loro culture e tradizioni, ad assumere stili celebrativi che manifestino il volto di una Chiesa sinodale. […] 28. I termini “sinodalità” e “sinodale” derivano dall’antica e costante pratica ecclesiale del radunarsi. […] Nella loro varietà tutte queste forme sono accomunate dal radunarsi insieme per dialogare, discernere e decidere. Grazie all’esperienza degli ultimi anni, il significato di questi termini è stato maggiormente compreso e più ancora vissuto. Sempre più essi sono stati associati al desiderio di una Chiesa più vicina alle persone e più relazionale, che sia casa e famiglia di Dio. Nel corso del processo sinodale è maturata una convergenza sul significato di sinodalità che sta alla base di questo Documento: la sinodalità è il camminare insieme dei Cristiani con Cristo e verso il Regno di Dio, in unione a tutta l’umanità; orientata alla missione, essa comporta il riunirsi in assemblea ai diversi livelli della vita ecclesiale, l’ascolto reciproco, il dialogo, il discernimento comunitario, il formarsi del consenso come espressione del rendersi presente di Cristo vivo nello Spirito e l’assunzione di una decisione in una corresponsabilità differenziata. In questa linea comprendiamo meglio che cosa significa che la sinodalità è dimensione costitutiva della Chiesa (cfr. CTI, n. 1).
In termini singolari e riepilogativi, si può dire che il documento delSinodo ci offre una spiritualità concreta di comunione che il Sinodo chiama spiritualità relazionale e può tradursi come spiritualità comunitaria. Ovviamente ora si tratta di incamminarsi dentro la via che è Gesù, in un cammino di rinnovamento spirituale che è previa delle riforme strutturali adesso si avvia anche la riforma strutturale ma imparando man mano a vivere a corpo, nello stile Trinitario dalla quale la Chiesa proviene ed è generata. Solo il metodo dell’amore reciproco, in altri termini renderà la Chiesa più partecipativa e missionaria, rendendola cioè più capace di camminare con ogni uomo e ogni donna irradiando la luce del Risorto. Infatti al numero 154 si legge: Vivendo il processo sinodale, [direi lo stile relazionale], abbiamo preso la nuova coscienza che la salvezza da ricevere e da annunciare passa attraverso le relazioni. La si vive e la si testimonia insieme. La storia ci appare segnata tragicamente dalla guerra, dalla rivalità per il potere, da mille ingiustizie e sopraffazioni. Sappiamo però che lo Spirito ha posto nel cuore di ogni essere umano il desiderio di rapporti autentici e di legami veri. La stessa creazione parla di unità e di condivisione, di varietà e intreccio tra diverse forme di vita. Tutto viene dall’armonia e tende all’armonia, anche quando soffre la ferita devastante del male. Il significato ultimo della sinodalità è la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo, Armonia di amore che si effonde fuori di sé per donarsi al mondo.
Dal sinodo stesso è emersa, come afflato dello Spirito Santo questa esigenza e non come dinamica organizzativa e strategica, ma come dire, quasi, ontologica dell’essere della Chiesa. Infatti al numero 50 il documento così recita: Lungo tutto il cammino del Sinodo e a tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i Cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione. […] Il desiderio di relazioni più autentiche e significative non esprime soltanto l’aspirazione di appartenere a un gruppo coeso, ma corrisponde a una profonda consapevolezza di fede: la qualità evangelica dei rapporti comunitari è decisiva per la testimonianza che il Popolo di Dio è chiamato a dare nella storia. «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Le relazioni rinnovate dalla grazia e l’ospitalità offerta agli ultimi secondo l’insegnamento di Gesù sono il segno più eloquente dell’azione dello Spirito Santo nella comunità dei discepoli. Per essere una Chiesa sinodale è dunque necessaria una vera conversione relazionale. Dobbiamo di nuovo imparare dal Vangelo che la cura delle relazioni non è una strategia o lo strumento per una maggiore efficacia organizzativa, ma è il modo in cui Dio Padre si è rivelato in Gesù e nello Spirito. Quando le nostre relazioni, pur nella loro fragilità, fanno trasparire la grazia di Cristo, l’amore del Padre, la comunione dello Spirito, noi confessiamo con la vita la fede in Dio Trinità.
Da quando sottolineato sin qui s’evince che c’è una conversione vera da fare, una conversione all’ecclesialità a partire dal pensarsi dentro la Chiesa assumendo la legge fondamentale dell’amore, se cosi sì può dire, che è Cristo stesso. In altri termini l’amore reciproco è l’amore che Egli ha chiesto: ‟amatevi come io ho amato voi”, Lui ci ha amati con la misura conosciuta lì nella Trinità. Sì, la misura è dare la vita l’uno per l’altro, è la reciprocità.
Per concludere il documento va letto nella sua interezza, ma il presente articolo, oltre ad essere un invito appunto a leggerlo, ha voluto offrire alcuni spunti di riflessione, che come dicevo a me paiono il cuore del documento stesso che l’illuminano dal didentro e n’esprimono l’animus. Sono certo che si coglie abbastanza bene che tutto il documento è come una trapunta e invito all’amore che ha radice nell’amore di Dioche trabocca e diviene amore ai fratelli.
Un amore che si traduce nel servizio che nasce dalla comunione, un amore e servizio alla Chiesa e all’umanità, soprattutto quella ferita.
Nell’Omelia della Messa che ha concluso l’assemblea del Sinodo, il Papa ha ripercorso il cammino dall’inizio dei lavori sulla sinodalità tracciandone un itinerario. Egli ha osservato che è stato occasione per indicare l’identità della Chiesa da sognare, che si desidera. Cioè «una Chiesa serva di tutti, serva degli ultimi. Una Chiesa che non esige mai una pagella di ‟buona condotta”, ma ad accoglie, servire, e che ama perché comunità. Una Chiesa dalle porte aperte, porto di misericordia».Ora quindi ci si aspetta immediatamente nuove strutture e nuove assunzioni di novità, si aspettano risultati che non potranno venire senza la spiritualità relazionale della comunione. Pertanto per arrivare tutto ciò non bisogna avere fretta, bisogna accettare i tempi dello Spirito, seguire i suoi inviti al cambiamento interiore sia soggettivamente che comunitariamente e nei modi che indica Lui, lo Spirito Santo, senza cedere ai personalismi. Ancora ha proseguito il Papa: «Magari abbiamo davvero tante belle idee per riformare la Chiesa, ma ricordiamo: adorare Dio e amare i fratelli col suo amore, questa è la grande e perenne riforma. Essere Chiesa adoratrice e Chiesa del servizio, che lava i piedi all’umanità ferita, accompagna il cammino dei fragili, dei deboli e degli scartati, va con tenerezza incontro ai più poveri». [/expander_maker]