L’appartenenza al Signore è sancita dalla risposta alla chiamata ricevuta attraverso i missionari; e tale risposta s’irrobustisce attraverso la scelta di “rimanere” ciò che si è e in ciò che si ha. Il legame con Dio, l’attaccamento alla parola della croce considerato come fedeltà a sé stessi, così per come si è stati trovati al momento dell’annuncio garantisce su tutto. Non ci sono miglioramenti che possano, dunque, dimostrare a Dio e alla gente cosa convenga fare nella vita, se non cambiare mentalità riguardo alle “raccomandazioni” tanto inseguite dai fratelli in assenza di Paolo. «Io sono di Apollo, e io di Cefa», come è scritto poco prima nella lettera (3,4), stona fortemente con questo pressante e insistente modo di pensare in cui è radicato l’apostolo scelto a Damasco per portare il vangelo anche a chi non è ebreo: un modo di pensare che traduce un modo di essere, senza filtri e senza tentennamenti. [expander_maker id=”1″ ] Le indicazioni sulla vita celibataria e quelle sulla vita coniugale sono frutto di questo modo di pensare l’esistenza nel momento storico in cui l’apostolo ha vissuto e sono la traduzione del pensiero e non il pensiero in quanto tale, quindi il vangelo stesso. La bellezza della Parola di Dio è connessa con la storia umana e tutti i tentativi di tradurla nel concreto della vita vissuta sono sempre da apprezzare quali espressioni di fede, più o meno riusciti ma comunque validi e importanti. Nella Chiesa, molte sono state le tradizioni che man mano, prima introdotte e poi sorpassate ed eliminate, hanno cercato di tradurre il vangelo, la persona di Cristo, il suo messaggio di amore universale, onnicomprensivo e dialettico nei confronti dell’uomo e della storia; molte sono state anche le figure che, in prima linea, hanno goduto di capacità “visionarie” che, in quel dato momento della storia, veramente hanno illuminato la chiamata alla fede, aiutando anche il contesto dentro al quale si trovavano. Ma, in tutto ciò, il valore con cui è stato portato avanti l’annuncio della parola della croce ha significato l’appartenenza al Signore, l’attaccamento anteriore e originario alla stessa parola annunciata ancora prima che con le labbra, attraverso il respiro, l’intensità della voce e dei gesti. Facile, dunque, alla luce di quanto appreso dalla storia stessa della chiesa, è arroccarsi nella posizione comoda di chi si gode il panorama di quanto si è stabilito e fatto finora, senza puntare alla destinazione, cioè alla comunità e, in particolare, a quanti nella comunità faticano a rispondere alla chiamata proprio a causa di un modello di vita di fede che puzza di muffa, anche se ben presentato e (magari) imposto. L’esperienza dell’apostolo, a Corinto, contrasta vivamente con il comodismo arrogante di chi difende tradizioni contrarie alla vitalità della parola della croce, perciò ordina paradossalmente per ben tre volte che: «Ciascuno rimanga nella condizione in cui era quando fu chiamato» (7,18.20.24), affinché la scelta dello stato di vita venga ordinata non alle mode, o alle consuetudini fuorvianti rispetto al vangelo (anche se condivise senza particolari problemi sociali al di fuori della comunità), bensì sia riferita al battesimo e quindi all’atto, al gesto e alla scelta solenne di aderire a Cristo e alla sua persona, ovvero abbracciando una nuova mentalità, un nuovo modo di vedere le cose. Il matrimonio di chi già si trova sposato al momento della chiamata è condizione benedetta, così come benedetta è la condizione di chi è celibe al momento della stessa chiamata; ma «a causa delle presenti difficoltà» (7,26), l’apostolo ordina di rimanere così come si è, in vista di qualcosa da discernere insieme, apostoli, missionari e fratelli, senza improvvisazioni. «Passa, infatti, la figura di questo mondo» (7,31), laddove per figura s’intende un “protocollo”, una tradizione, un’insieme di usi e costumi e laddove viene usato il termine schēma (σχῆμα τοῦ κόσμου τούτου); niente di nuovo: allora come sempre, gli schemi e le mode sono proposte di passaggio, transitorie, come veri e propri adattamenti, tentativi di traduzione più o meno riusciti del desiderio di felicità innato nell’animo umano e la considerazione dell’apostolo è così puntuale, dedicata e attinente al contesto corinzio e alla tematica che soltanto in questo punto dell’intero suo epistolario usa il verbo del passaggio, parágo(παράγω). Nel nuovo testamento, esso è presente altre volte e descrive azioni di allontanamento e di fuga; all’interno delle sette lettere di Paolo però questo termine è presente soltanto in questo versetto della prima lettera ai Corinzi. Perciò, è singolare l’accenno alle indicazioni sulla vita matrimoniale dal momento che esse, per come vengono intese nel contesto civile di Corinto (schema di questo mondo), richiedono l’impegno costante di tutti sia nel viverle che nel discernerle, poiché adattamenti di passaggio della parola della croce che, invece, è ferma, stabile e permanente. Infatti, a conclusione, quasi volendo giustificare il tono con cui ha scritto le righe precedenti, l’apostolo afferma: «Questo lo dico per il vostro bene: non per gettarvi un laccio, ma perché vi comportiate degnamente e restiate fedeli al Signore, senza deviazioni» (7,39).
Quanto è importante confrontarsi con la realtà circostante nel cammino spirituale del credente? Fino a che punto è sufficiente considerare antiquate e inutili queste o quelle tradizioni, usi e costumi? Esattamente cosa significa stare “al passo con i tempi” per la chiesa e per le nostre comunità?
Spunti e appunti per una Lectio personale
La Parola e gli schemi, le mode di passaggio
Salmo 119,89 Per sempre, o Signore,
la tua parola è stabile nei cieli.
90 La tua fedeltà di generazione in generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
Matteo 24,35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Giovanni 2,17E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno! [/expander_maker]